Scoppio al poligono, s’indaga sull’aerazionedi Manuela Boschian
Un improvviso guasto e i residui della polvere da sparo avrebbero determinato la detonazione
Sarebbe l’impianto di aerazione, il principale imputato dell’incidente che ha causato ustioni gravissime a quattro soci del Tiro a segno di Pordenone. Stando a quanto si è potuto sapere, al momento gli accertamenti stanno procedendo giocoforza per esclusione, tenuto anche conto che gli unici testimoni che potrebbero avvalorare o smentire le tesi degli inquirenti non sono in grado di riferire quanto accaduto. Trasferiti tra sabato e ieri dall’ospedale di Pordenone ai Centri specializzati in grandi ustioni di Parma, Milano, Verona e Padova, i quattro pordenonesi hanno riportato ustioni di secondo e terzo grado sul 60-70 per cento del corpo e sono in coma pilotato. Tornando alle cause, è stata, perciò, accantonata l’ipotesi del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento. Questo, grazie alle verifiche effettuate nella mattinata di ieri dai tecnici dei vigili del fuoco, i quali, attraverso apposita strumentazione, hanno verificato l’assenza di perdite di gas o di altre sostanze infiammabili imputabili, appunto, all’impianto termico. Ieri, alla luce del giorno, sono stati perfezionati anche i rilievi da parte dei carabinieri della Sezione scientifica del Nucleo operativo provinciale, affiancati nelle indagini dai colleghi del Nucleo operativo e radiomobile e della stazione di Pordenone. In assenza di prove eclatanti, che da sole spieghino l’accaduto, ogni più piccola traccia può, infatti, fornire uno spiraglio sul drammatico episodio. Allo stato attuale delle cose, dunque, l’indagine non esclude di vagliare alcunché: dal munizionamento in uso all’osservanza delle norme comportamentali, al corretto funzionamento dei vari sistemi di sicurezza. E qui entra di prepotenza in scena il ruolo giocato dall’impianto di aerazione e dalla miscela infiammabile formata dai residui di polvere da sparo, gas e materiali incombusti che ogni esplosione di arma da fuoco produce. Senza voler propinare un “bignami” della balistica, c’è da dire che, se l’impianto di aerazione avesse fatto il proprio dovere, la miscela si sarebbe diluita e dispersa nell’aria senza conseguenza alcuna. Se, invece, consideriamo l’ipotesi che l’impianto o parte di esso non abbia espletato la propria funzione, ci si ritrova che, pian piano, i residui raggiungono una concentrazione elevata. In particolare, attorno a chi sta sparando, in quanto li produce. Non è detto che ci si possa accorgere della micidiale miscela: se i residui sono più pesanti dell’aria, si depositano a livello di pavimento, e olfatto e mucose non li colgono. Da dire, inoltre, che danni strutturali limitati come quelli rilevati nel poligono interrato, stanno a significare che l’ambiente non era affatto saturo (a quel punto sarebbe saltato in aria), bensì che si erano presumibilmente create zone a rischio. Logica suggerisce che queste fossero, appunto, proprio quelle in cui si trovavano i tiratori. Relativamente al fatto che la gravità delle ustioni sia inversamente proporzionale all’entità dei danni, è presumibilmente dovuto alle caratteristiche del poligono e alla dinamica dell’accaduto. Intanto, sembra assodato che l’innesco alla miscela infiammabile sia stato dato - per pura casualità - dal colpo esploso da Fernando Toffolo, il che spiegherebbe perché sia il più grave tra i quattro. In secondo luogo, la vampata di fuoco ha trovato terreno fertile non in pavimento, pareti o soffitto - tutti ignifughi - bensì negli abiti dei tiratori, anch’essi impregnati di residui e, dunque, doppiamente vulnerabili.